sabato 29 dicembre 2007

Federico Moncada, la storia del “fifozzo” senza fifa


Riceviamo e pubblichiamo
Carissimi Iliubo e Lucia,
è stato un vero piacere leggere la storia di Federico Moncada offertaci attraverso così tanto affetto e ammirazione. Fede.... cosa dire di Fefe, fifozzo come lo chiamo a volte io? Ci sarebbe tanto, pure troppo per me da dire. Anch’io lo conosco da una vita, 10 anni per l’esattezza, ed è simpatico pensare che mentre voi ne abbiate condiviso l’esistenza sin da quando Federico era in fasce (parlo per Raimondo ma vale quasi sicuramente per Lucia che ha iniziato a frequentare casa Moncada in tenera età se non sbaglio) io mi sono ritrovata invece a conoscere Fede nella sua epoca matura, diciamo cosi. Era già abbastanza grandicello quando ha iniziato a frequentare Samantha: 25 anni o giù di li. Un periodo abbastanza intenso ma sicuramente imparagonabile all’intensità dei suoi ritmi di vita adesso a distanza di 10 anni. In questo lasso di tempo io assieme a Fede ho vissuto cambiamenti epocali per entrambi: il finire la laurea (sia mia che sua), il partire per l’Inghilterra (prima mio e poi suo), l’avviarsi sulla propria strada professionale, i matrimoni e potrei andare avanti per un po’. Ognuno di questi cambiamenti cosi come tutte le cose nella vita ha mostrato un lato ma per nasconderne inevitabilmente un altro. Nell’incessabile divenire della realtà ogni cambiamento implica la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro che è sempre sconosciuto e perciò eccitante ma anche, allo stesso tempo, carico di ansia perché pura possibilità ancora da realizzarsi. E fede sa bene quanto è duro realizzare e cambiare qualcosa e quanta ansia comporta il rischio del cambiamento. Quando sei solo e questo significa che te e solo te stesso è l’unica persona su cui puoi contare per questioni di denaro, per un consiglio professionale o qualsiasi altra necessità primaria allora ciò che agli altri può apparire follia, voglia di buttarsi, partire in giro per il mondo a rischiare non è invece altro che prova e ricerca di forza. Quella pura forza interiore che in potenza tutti gli uomini e tutte le donne possiedono ma che alla fine solo pochi sono in grado di abbracciare e veramente vivere sino in fondo. È una forza che si è in grado di trovare soltanto se si conosce bene se stessi perché solo allora si è in grado di concepire lucide analisi sull’universo che abitiamo, su ciò che vogliamo e che sono gli altri e su quello che vogliamo e ci aspettiamo da noi stessi. Questo è l’unico modo per distinguersi nella vita e io credo l’unico modo per vivere una vita degna di essere vissuta. Questo comporta uccidere il passato e partire in viaggio verso nuovi orizzonti, a volte come nel caso di Fede in senso fisico: prendendo la macchina e percorrendo le strade d’Europa che dall’Italia lo hanno portato a Londra. Queste riflessioni su Fefè mi rendono adesso nostalgica. Oggi sono abituata ai suoi successi lavorativi e ai numerosi progetti architettonici strabilianti che ha ideato e continua a ideare e ovviamente a volte dimentico la grandezza dell’uomo che non solo è uno strabiliante architetto ma anche e soprattutto cognato per legge e amico fraterno. Non faccio familismi stupidi. Tra tutte le migliaia di persone che conosco Fede è tra i pochissimi per cui vale il detto SI E´ FATTO DA SOLO. Dall’Italia a Londra. Da Burger King a KSS Design Group. Da Villaggio Mosè a Montallegro dove DA SOLO ha capito che mia sorella sarebbe stata la sua fortuna quando 10 anni fa è iniziata la loro storia d’amore. Si dice che dietro ogni grande uomo ci sia sempre una grande donna e, aggiungo io, vale ovviamente il viceversa. Fede è un uomo di grande intuito, forza e tenacia negli affari cosi come nella vita amorosa. Anche Sammi lo è ed è per questo che filano alla grande (vabbè a parte quando fede fa il disordinato o compra la coca cola alla ciliegia che solo lui è in grado di trovare al supermercato...). Vi auguro ogni bene dal più profondo del cuore.
Audaces fortuna iuva

Dalla nostra infiltrata a Londra, Rossana Capitano

giovedì 27 dicembre 2007

Rito di fine anno: tirare la catenella al cesso mentale


Fatemi svuotare il cervello in questo ultimo scorcio di 2007 come rito di fine anno. Voglio riempire la scatola cranica di idee nuove, originali, innovative, sorprendenti, meravigliose, favolose, magiche, coinvolgenti, magnetiche, virtuose. Voglio svuotare il teschio di tutte le impurità, di tutti i residui calcarei lasciati da vecchi pensieri, ragionamenti desueti, elucubrazioni vane. Voglio resettare il cervello per ricominciare da capo, per ripartire da zero con nuovo slancio, con nuovo ardore, con nuova passione, con nuovo entusiasmo.
In questi ultimi giorni di dicembre, fatemi tirare con forza la catenella allo sciacquone del mio cesso mentale. Permettetemi pure di passare il sempre caro spazzolone imbevuto con acido muriatico o con altri prodotti simili capaci di ripulire, igienizzare, sanificare (così come sento in molte pubblicità televisive dove ti vorrebbero convincere che in un water pulito con “Cesso più” ci puoi non solo fare i bisognini ma addirittura mangiare e bere! Ma lo avete mai visto un imprenditore di prodotti igienizzanti sradicare un gabinetto e usarlo come boccale di birra?). Allo scoccare della mezzanotte del 2007, voglio essere pulito, profumato e vuoto come sono vuoti i monaci zen in meditazione. Voglio essere una persona pura, svecchiata, ricarburata, revisionata, rilucidata, riprogrammata per un 2008 tutto da vivere, tutto da gustare, tutto da conquistare, tutto da mangiare, tutto da spolpare fino alla fine.
Ora consentitemi di fare un bagno rilassante, sgrassante e profumante che è già da undici mesi e mezzo che non mi lavo! Me ne sono accorto oggi entrando in un affollatissimo centro commerciale per comprare dei regali ai miei familiari. Il mega negozio si è improvvisamente svuotato. Quando sono andato per pagare non c’erano neanche le cassiere. Sono tutti scappati, riparandosi all’aperto per respirare. Ho capito che c’era qualcosa che in me non andava non appena si è azionato l’impianto antincendio con tutti i bocchettoni a puntamento intelligente indirizzati verso di me. Ho preso così coscienza della mia zozzezza nauseabonda la cui dimensione fisica e metafisica è paragonabile solo a un cesso utilizzato a fine anno dopo gli straripanti cenoni.

iliubo

(© materiale originale, se adoperato al di fuori da questo blog riportare la dicitura: "autore iliubo - tratto da: www.iliubo.blogspot.com”)

domenica 23 dicembre 2007

Federico Moncada architetto pittore paninaro emigrato con successo a Londra


"Cu nesci arrinesci”. Espressione gergale tipica del siciliano colto per dire: chi esce dall’isola “arrinesce”, nel senso cioè che si realizza, si afferma, si arricchisce. Mai luogo comune è stato così calzante come nel caso di Federico Moncada, architetto e artista agrigentino, laurea all’Università degli Studi di Palermo ed esponente di rilievo del filone (non è un tipo di pane!) dell’arte pittorica surreale-realista-metaforica-espressiva-figurativa. Un professionista come pochi che ha affinato la preparazione alla vita con il Master al “Ballarò Institute”, la specializzazione artistica alla “Brancati Street” e la specializzazione umana al Moses Village.
Federico Moncada, piano piano, passo dopo passo, maduni dopu maduni e con ammirevole forza di volontà, sta riuscendo in un’attività che era nel cassetto dei sogni del fratello maggiore e del padre Gildo Moncada che sarebbe stato molto fiero dei traguardi raggiunti dalla propria prole così come è fiero il più anziano dei figli maschi, un folle creativo rimasto a lavorare a pala e picu nella terra dei Ciclopi.
Dopo innumerevoli sacrifici, patimenti, privazioni, Federico si ritrova a Londra dove è un apprezzato architetto siculo-italiano. Collabora con il grande studio di architettura Kss Design Group. Per farne parte, ha solo presentato un curriculum e la sua persona fisica, ha solo fatto un colloquio, ha solo presentato un portfolio di cose fatte. Non si è fatto raccomandare da nessuno. Non ha pregato nessuno. Non è stato costretto a mettersi in ginocchio. Non è stato obbligato a strisciare per terra. Lavora per meriti e non deve dire grazie a nessuno se non a se stesso e alla compagna montallegrottese foto-casalinga.
Quando è sbarcato due anni fa in Inghilterra, si è sentito come un extracomunitario che sbarca nelle meravigliose coste siciliane. Non conosceva la lingua, non conosceva la terra ospitante, non conosceva le persone. Era un pesce fuor d’acqua pronto per le succulente tavole natalizie di Sua Maestà la Regina.
-Ma dunni sugnu? Dunni mi purtaru?
Si è chiesto con un italiano forbito, utilizzando quel linguaggio dotto che l’Accademia della Crusca consiglia agli italiani veri per mantenere vivo quell’amato idioma per il quale il connazionale Dante Alighieri si è fatto il mazzo per una vita intiera scrivendo i tre canti della Divina Commedia (… come è duro calle lo scendere e 'l salire per le altrui scale!). L’unico contatto in Inghilterra era la sorella della fidanzata e il fidanzato della sorella della fidanzata (in un primo momento non ci ho capito niente neanche io!). Come un extracomunitario che sbarca in Sicilia che per sbarcare il lunario vende accendini, borse, occhiali e cinture verofintogriffate, l’architetto Federico Moncada si è messo a imbottire panini a London City per inserirsi meglio nella professione per cui ha a lungo studiato in quel di Palermo (tra Vucciria, Capo, Ballarò, Via Maqueda, Corso Tucory, Via Ernesto Basile ecc.). Da non crederci, ma gli hot dog aiutano veramente! Eccome! Sono meglio degli accendini! Il primo ingaggio importante è stato al Burger. Fare i panini gli ha consentito di conoscere l’arte, la storia, l’architettura, il modo di essere, gli usi e i costumi della scostumata, aristocratica e freddissima Gran Bretagna. Il panino imbottito agevola le attività artistiche e intellettuali!
Superata la fase dell’extracomunitario, appresi i primi rudimenti linguistici, imparati a memoria i numeri e gli orari di metropolitane e autobus, l’architetto Federico Moncada ha cominciato a muovere i primi passi bussando forte ai portoni o aggrappandosi ai citofoni di prestigiosi studi di architettura londinesi.
-Hello!
-Federicu sugnu!
-What?
-Federicu Muncata… u figghiu di Sara e Girdu...
-Who is?
-Federicu do Villaggiu Mosè… chi si surdu o ‘nzallanutu!? grapi!

Ha lavorato prima in uno studio di architettura costituito da circa una decina di operatori dove è stato preso come visualizer (colui il quale sviluppa, senza spicicare una parola, i progetti con animazioni tridimensionali al computer). Nello stesso studio ha poi fatto il salto di qualità entrando a far parte dell’equipe di progettazione. Poi un bel giorno, ha pensato bene che le sue capacità meritavano di più, che le sue potenzialità erano degni di uno spazio maggiore. Da meno di un anno è sotto contratto del prestigioso studio londinese Kss Design Group, formato da più di settanta architetti. I padroni della Kss gli passano un salario più che dignitoso, aumenti continui non richiesti, gli fanno fare stage di lingua e linguacce anglofone, gli offrono caramelle per la carie, massaggi gratuiti contro lo stress da sedia e panini imbottiti con caddozza di sosizza siciliana.
Federico Moncada è un architetto in carriera orgoglioso di se stesso e finalmente realizzato.
Dopo la sudata laurea, era partito dalla Sicilia con tanta speranza per approdare via mare e monti nel ricco nord-est d’Italia. In Veneto è stato ingaggiato come disegnatore da una grande azienda di pelletteria d’alta moda con un contratto a tempo indeterminato (doveva, cioè, durare fino alla pensione!). Evviva! Finalmente un lavoro, finalmente un guadagno! Dopo alcuni mesi di attività, l’impresa decide di chiudere e di delocalizzare il centro di produzione nella Cina dei cinesi mandando a casa il personale, compreso l’architetto Moncada. Con la forza d’animo che solo i disperati hanno (“e come i nostri padri emigrati”) si trasferisce nel nord del mondo, in Inghilterra, portando seco una valigia piena di mutandoni, maglie di lana e pregiate collezioni di coppole di velluto. Nel regno del pricipe Carlo, della regina matre Elisabetta e della compianta Diana (le sigarette che Federico ha sempre fumato!), il Moncada trova la sua strada, prima con gli artistici panini imbottiti e poi con l’architettura. A pochi giorni dal 2008, può affermare che la sua vita professionale, artistica e familiare si è incanalata su una strada non più impervia e insicura. Oggi, 23 dicembre 2007, antivigilia di Natale, Federico Moncada può dire al mondo e alla sua Sicilia di essere pienamente Federico Moncada: architetto europeo a Londra, artista surreale-realista-metaforico-espressivo-figurativo, paninaro all’occorrenza, discendente della nobile famiglia siculo-spagnola dei Moncada.
Buona fortuna, fratello!
Buon Natale e buon anno a te e a tutta la comunità agrigentino-scozzes-montallegrotta a Londra.

iliubo

(© materiale originale, se adoperato al di fuori da questo blog riportare la dicitura: "autore iliubo - tratto da: http://www.iliubo.blogspot.com”)
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